ATTUALITÁ

Di Ben-Dror Yemini

LETTERA DI PACE AI PALESTINESI

Cari vicini, la colpa non è di Israele: è di Hamas
Guardatevi attorno: ovunque abbia preso il sopravvento l'islamismo estremista, il risultato è distruzione e rovina

Cari vicini,

vivete da anni in gravi difficoltà, lo sappiamo. Non è vero che non ci importa. Sentiamo la vostra sofferenza. Vorremmo che i nostri vicini potessero vivere nel benessere, nella prosperità e con un futuro migliore per sé e per i propri figli.

Poco più di dieci anni fa Israele ha lasciato la striscia di Gaza, ritirandosi fino all'ultimo centimetro. Avrebbe potuto essere un punto di svolta. Per la prima volta, una parte dei palestinesi si è trovata di fronte alla possibilità di avere piena indipendenza. Per la prima volta nella storia, i palestinesi di Gaza avrebbero potuto realizzare i loro desideri. Poteva essere un nuovo inizio.

Ma in breve tempo Hamas prese il controllo sulla striscia. Centinaia di palestinesi vennero uccisi durante quella violenta presa del potere. Il primo passo del regime di Hamas fu quello di cancellare tutti gli accordi con Israele, a cominciare dagli accordi che regolavano gli scambi ai valichi di frontiera. Il blocco non lo impose Israele, lo impose Hamas cancellando tutti gli accordi. Ciò nonostante, da allora e fino ad oggi centinaia di camion di rifornimenti hanno continuato ad attraversare ogni giorno i valichi di confine da Israele verso la striscia di Gaza.

Quando Hamas salì al potere, la comunità internazionale pose delle condizioni per proseguire la collaborazione e gli aiuti: i principi del Quartetto (riconoscimento del diritto ad esistere dello Stato di Israele, ripudio del terrorismo e della violenza, rispetto e applicazione degli accordi già firmati con Israele).

Accettare questi principi avrebbe portato alla fine del blocco e a un futuro migliore. Persino i capi dei paesi arabi esortarono Hamas ad accettare questi termini. Ma i dirigenti di Hamas decisero di dire "no".

È tempo di protestare contro di loro. È tempo di manifestare e fare pressione perché possiate avere più acqua, più elettricità, più cibo e più benessere. Hamas è il problema, non Israele.

Come indica l'immancabile mappa di tutta pubblicistica irredentista palestinese, il "ritorno" a 70 anni dalla "nakba" significa cancellare Israele della carta geografica

La stragrande maggioranza degli israeliani non si augura nessun collasso di Gaza, né che vi sia una crisi umanitaria. Ciò nonostante state andando verso la crisi.

Ma non a causa di Israele: è a causa del regime di Hamas. Hamas sa bene come investire, ma solo nell'industria della morte: più tunnel per infiltrazioni terroristiche, più razzi da lanciare sulla popolazione israeliana.

Se Hamas avesse investito tutto quello che spendeva in tunnel per costruire quartieri scuole e ospedali, la situazione nella striscia di Gaza sarebbe molto migliore. E Hamas non trascinerebbe voi e noi in sempre nuovi conflitti.

Cosa ne è venuto da tutti i fondi investiti in missili e tunnel? Solo sofferenze per gli abitanti della striscia di Gaza. No, Israele non c'entra.

Guardatevi attorno, miei cari vicini. Guardate gli altri paesi. Non siete soli. Ovunque abbia preso il sopravvento l'islamismo estremista, il risultato è distruzione e rovina. Succede in Somalia, in Nigeria, in Siria, in Libia, in Pakistan, in Afghanistan. C'è un solo posto al mondo dove l'islamismo estremista abbia giovato alla popolazione?

Da quasi settant'anni ormai il mondo arabo vi tiene bloccati nella condizione di "profughi".

No, non è a causa di Israele. È perché questo è ciò che volevano i capi del mondo arabo.

Ebbero l'opportunità di istituire uno stato arabo nel 1947, ma dissero "no" e vi portarono alla nakba. Hanno avuto decenni per riabilitare i profughi, ma non volevano farlo.

Ci furono altre occasioni per risolvere il problema dei profughi, con l'iniziativa di pace di Clinton e altre iniziative in seguito. Ma i vostri capi hanno continuato a dire di no.

Permetteteci di ricordarvi che non siete gli unici al mondo ad aver patito una "nakba". Decine di milioni di persone furono sradicate dai loro luoghi di nascita dopo la prima e dopo la seconda guerra mondiale.

Quasi un milione di ebrei furono espulsi o dovettero fuggire dai paesi arabi dove vivevano. Quasi tutti si videro confiscate beni e proprietà. Arrivarono in Israele come profughi. All'inizio non è stato facile, per loro, come non è stato facile per decine di milioni di altri profughi in tutto il mondo.

Ma oggi nessuna di quelle decine di milioni di persone è più un "profugo". Solo voi. Chiunque abbia occhi per vedere sa che la colpa è dei vostri capi. Non volevano risolvere il problema e voi ne state pagando il prezzo.
Noi non vogliamo sofferenze.

Noi vorremmo che viveste accanto a noi in pace, prosperità, benessere e indipendenza. Non combattiamoci fra di noi. Lasciamo perdere le illusioni (anche fra di noi ci sono alcuni che preferiscono cullarsi nelle illusioni) e optiamo per una concreta realtà migliore. Il mondo intero vi aiuterà, se solo verrete armati di buona volontà anziché di odio, indottrinamento e illusioni sul "diritto al ritorno".

Anche noi abbiamo fatto errori. Ci sono molte cose da sistemare, da risolvere. Ma è anche vero che vi tendiamo la mano in pace. Accettatela. Invece di un altro delirio e un'altra vaneggiante "marcia del ritorno", che è una faccenda tutta e solo di provocazioni e violenze, facciamo una marcia comune di pace, negoziato, riconciliazione e riconoscimento reciproco. State facendo la stessa marcia da settant'anni, sempre sulla stessa vecchia strada, sempre con lo stesso risultato: nuove sofferenze, nuova angoscia. E allora, tentate un percorso nuovo, un percorso che dia speranza. Accettate la nostra mano, che è offerta in pace.

 

"Vegliamo in silenzio oggi,
per la libertà per tutti domani".

Sì alla liberta di espressione

Sì al rispetto di ogni persona

Sì alla famiglia

Sì al pluralismo e alla democrazia

NO al carcere per il reato di opinione

Se condividi, partecipa anche tu alla veglia
delle SENTINELLE IN PIEDI, leggendo un libro:

La manifestazione è regolarmente autorizzata,
è assolutamente a-partitica, a-confessionale ed
è aperta a chiunque ne condivida gli ideali.
Nessun vessillo o simbolo di partito o movimento è ammesso.

Le date saranno comunicato ogni volta nel

"Il Cittadino" della Diocesi.

www.sentinelleinpiedi.it


LA MENZOGNA BENEDETTA DALL' ISLAM
La TAQIYYA

Il concetto Islamico di taqiyya per infiltrarsi nei paesi kafir e per conquistarli
Secondo la taqiyya, ai musulmani viene garantita la possibilità di infiltrarsi in Dar-al-Harb (la "casa della guerra", ovvero l'insieme di tutti i paesi non Islamici del mondo), per insediarsi nelle città e nei luoghi vitali dei nemici, per piantare il seme della discordia e della sedizione.

Questi "agenti" agiscono per conto delle autorità musulmane, e di conseguenza non sono da considerarsi come apostati o come nemici dei principi Islamici.

la taqiyya è la pratica
di mentire nell'interesse dell'Islam.

Lo scopo è quello di ingannare i miscreden-ti, convincendoli della bonarietà dell'Islam attraverso l'eliminazione di dubbi e preoccupazioni su questa religione, incoraggiando al contempo la loro conversione.
La taqiyya è alla base della propaganda musulmana presente oggi in Occidente, a partire dall' affermazione secondo cui l'Islam promuoverebbe

l'uguaglianza dei diritti per le donne, fino ai tentativi di incrementare il numero percepito di musulmani nel mondo.
La taqiyya va al di la del semplice scopo di propaganda.
L'origine etimologica della parola significa "per proteggersi da, per mantenere (se stessi)."

Include quindi anche la dissimulazione da parte dei musulmani nel dare l'apparenza di non essere religiosi, in modo da non creare sospetti.

Sotto queste mentite spoglie un musulmano, se necessario, può mangiare carne di maiale, bere alcolici, e persino rinnegare verbalmente la fede islamica, fintanto che "non lo intenda nel suo cuore".

Se il risultato ultimo di una menzogna è percepito dai musulmani come utile per l'islam o utile per portare qualcuno alla "sottomissione" ad Allah, allora la menzogna può essere permessa attraverso la taqiyya.

Costoro sono legittimi mujaheddin, la cui missione è quella di fiaccare la resistenza del nemico e il loro livello di mobilitazione.
Uno dei principali obiettivi è quello di causare divisioni tra gli avversari mentre al contempo si sminuiscono le responsabilità dell'Islam "Oh, ma io non sono religioso", "Oh, ma quello non è il vero Islam, ti stai sbagliando, c'è così tanta disinformazione", "oh, ma quella è un'interpretazione sbagliata", "fratello, l'Islam significa pace, amore",

TENIAMOLO IN MENTE - COSÍ NON CORRIAMO IL RISCHIO DI ESSERE INGANNATI FACILMENTE

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Un vero rispetto per gli animali


Gli animali vanno rispettati e amati in quanto creature di Dio.
Come insegna il Catechismo, "con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria".

Allo stesso modo, "anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro", sull'esempio di santi come Francesco d'Assisi o Filippo Neri (cfr n. 2416).

Il vero rispetto, però, richiede che siano trattati secondo la loro natura, senza proiettare su di loro le nostre idee. Senza ciò a renderli antropomorfi.

Questo significa lasciare liberi gli animali selvatici, non abbandonare quelli domestici, accudirli in modo corretto, non come se fossero dei neonati.

In ogni caso, come scrive papa Francesco nell'enciclica Laudato si', niente e nessuno è escluso dalla fraternità universale e "L'indifferenza o la crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per trasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseri umani".
D'altra parte, scrive ancora Francesco, "è evidente l'incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o e determinato a distruggere un altro essere umano che non gli e gradito" (nn. 91 e 92).

 

 

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La vera radice dell'estremismo

di Vittorio Messori,

Corriere della Sera, 14 gennaio 2015

Di rabbi Giuseppe Laras - eminente nell'ebraismo italiano non solo per cultura ma anche per sensibilità religiosa - ho sempre apprezzato la schiettezza nell'esporre le sue convinzioni.

Così, nell'articolo di ieri su questo giornale , non esita a iniziare affermando che <<siamo in guerra, siamo solo agli inizi eppure non vogliamo prenderne coscienza>>.

Da realista, sarei propenso a dargli ragione: terminata, per collasso e abbandono del campo da parte del nemico, la terza guerra mondiale (detta "fredda", ma pur sempre guerra), ecco la nuova Pearl Harbour, in un mattino di un 11 settembre a New York. Ecco, diciamolo con la chiarezza di Laras, la quarta guerra mondiale.

L'ipocrisia dell'ideologia oggi egemon , la political corectness, ha tentato e tenta esorcismi, costruendo, per tranquillizzarsi, un ideale di "islamismo moderato", da incoraggiare e accrescere ripetendo il mantra del "dialogo".

Ma, chi conosce davvero il Corano, chi conosce la storia e la società cui ha dato forma in un millennio e mezzo, sa che non hanno torto quei musulmani che chiamiamo "estremisti " (usando le nostre categorie occidentali) a gridare, kalashnikov alla mano, che un maomettano "moderato" è un cattivo maomettano. O, almeno, è un vile che Allah punirà. Quanti, tra coloro che si scandalizzano per questo, quanti hanno letto per intero, senza censure mentali, il Corano e magari anche le monumentali raccolte di hadith, i detti attribuiti al Profeta?

Un amico francese, religioso cattolico a Gerusalemme e noto biblista, mi raccontava di recente che , nel loro convento, serviva da sempre, come factotum, un ormai anziano musulmano. Onesto, gran lavoratore, di tutta fiducia, faceva ormai parte della famiglia e tutti quei religiosi gli volevano bene, sinceramente ricambiati.

Un venerdì, l'uomo tornò dalla moschea con un'aria accasciata. Il superiore della casa, insistendo, riuscì a farlo parlare. Disse: <<Oggi l'imàm che dirige la preghiera ci ha detto, nella predica, che nel giorno del trionfo di Allah e del suo Profeta, nel giorno che presto verrà e in cui libereremo questa Santa Città da ebrei e cristiani, tutti gli infedeli che non faranno subito professione di fede dovranno essere uccisi. Così vuole il Corano cui noi tutti dobbiamo obbedire>>. Una pausa, e poi: <<Ma non tema, padre , sa che io vi voglio bene , so come fare, se dovrò sopprimervi troverò il modo di non farvi soffrire>>.

L'aneddoto, purtroppo, è autentico.

Come autentiche sono le domande poste, con cortesia e insieme con crudezza, da Giuseppe Laras e che possono, credo, riassumersi così : è possibile, per il mondo islamico, accettare quella tolleranza, quella distinzione tra politica e religione, quella eguaglianza tra persone di diverse religioni , quel rifiuto - senza eccezioni - della violenza, quelle realtà insomma su cui basare un mondo , se possibile meno disumano?

Come si sa, nel 1948, gli allora non molti Stati islamici già indipendenti che sedevano alle neonate Nazioni Unite rifiutarono di firmare la "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo", affermando che non corrispondeva alla loro prospettiva di persona e di società.

Una società, tra l'altro, dove la schiavitù non era ufficialmente abrogata, dove vigeva, e vige, una poligamia nella quale la donna è relegata in un ruolo di sottomissione, dove il non musulmano è cittadino inferiore, sottoposto a una pesante tassa e a una serie codificata di pubbliche umiliazioni. Sarà mai possibile giungere almeno a un modus vivendi o lo scontro dovrà continuare e magari aggravarsi, perché tanto diversi resteranno i valori fondamentali?
Tutto è possibile, s'intende, a Dio, a Jahvé, ad Allah, a seconda delle fedi, ma, a viste solo umane, l'obiettivo non sembra raggiungibile. In effetti, l'Islam non solo è diviso a tal punto che sono quotidiani i massacri tra sciiti e sunniti o tra altre comunità in lotta cruenta tra loro. Ma, soprattutto, non esiste una autorità superiore, in grado di prendere decisioni vincolanti per i fedeli, come il papa per il cattolicesimo.

Anzi, non esiste nemmeno un clero né esistono gerarchie religiose all'interno delle comunità. Tutto è lasciato a uomini soli con in mano solo un libro immutabile di millequattrocento anni fa.

Il califfato ottomano, abolito nel 1924 da Kemal, era una finzione a servizio del sultanato e, in ogni caso, la sua evanescente autorità non era riconosciuta al di là dei confini dell'impero turco. Ma anche se tornasse , che potrebbe fare un "papa della Mecca" che non avrebbe la grande, liberante risorsa di quello di Roma: la risorsa, cioè, di una Scrittura approfondibile secondo i tempi e le situazioni pur senza rinnegarla, flessibile pur senza tradirla, divina ma affidata alla ragione di credenti che con essa devono affrontare i secoli?

Il cristianesimo, prima e ben più che un libro, è un incontro tra vivi, tra gli uomini e il Cristo vivo, con la ricchezza e la duttilità che nasce dalla vita.

Ma così non è il Corano, anzi ne è il contrario, con il testo originale custodito in Cielo accanto ad Allah, eterno, immodificabile, dettato parola per parola a Muhammad, con le sue sentenze da osservare sempre e comunque in modo letterale, con la sua rigidità che deve sfidare ogni cultura, costi quel che costi. Possibile trarre, da qui, un "moderatismo" maomettano?

Se questa è la situazione, il rabbino Laras non nasconde una preoccupazione: << C'è una tentazione che può profilarsi sia nel cristianesimo sia nella politica europea: quella di lasciar soli gli ebrei e lo Stato di Israele per facilitare una pace politica, culturale e religiosa con il mondo musulman >> .

Per lui, questa sarebbe <<una strategia fallimentare>> i cui effetti disastrosi per i cristiani si sarebbero già visti.

Dice, infatti: <<Dopo che quasi tutti i Paesi islamici si sono liberati dei "loro" ebrei, si sono concentrati con violenze e massacri sulle ben nutrite minoranze cristiane>>.

Su questa convinzione del rabbino dovrebbe aprirsi, però, una discussione: la persecuzione in atto dei battezzati ha cause, crediamo, più complesse dello sfogo su di essi di una religione violenta alla ricerca di vittime.

Una discussione di grande importanza, e proprio per questo non affrontabile in spazi così ridotti. Per ora , basti prendere sul serio l'avvertimento di Laras: c'è una guerra e non è opportuno mascherarla dietro gentilezze occidentali verso gli antagonisti e con severi rimbrotti alle "cassandre" che si limitano a constatare una realtà drammatica.

 

Quando il web si fa pericoloso
Le conseguenze di azioni che solo in apparenza sono "virtuali"
Il Ten. Col. della Polizia di Stato Roberto Surlinelli ha tenuto la relazione al Corso d'Aggiornamento Irc

Davvero un incontro di grande intensità, dovuta alla delicatezza dei temi affrontati e alla grande chiarezza con la quale sono stati illustrati, con particolare attenzione ai rischi collegati all'uso di Internet e dei social network, e ha visto la presenza di due relatori: il prof. Antonio Poerio e il tenente colonnello della Polizia di Stato, Roberto Surlinelli.
Dopo una breve introduzione nella quale il prof. Poerio ha evidenziato come i cosiddetti "nativi digitali" abbiano sempre bisogno di accompagnamento per non essere dominati da strumenti di cui credono di essere i dominatori, e come lo sviluppo delle (comunque preziosissime) tecnologie sia andato di pari passo con l'aumento della solitudine, il dott. Surlinelli ha illustrato alcuni dei rischi molto gravi legati all'utilizzo di strumenti come le chat (per esempio Whatsapp, ma non solo), soprattutto nei casi in cui la persona che le utilizza pubblichi materiale molto personale, data l'impossibilità di controllare in quali mani tale materiale, poi, vada a finire. "Le nuove tecnologie non sono, in sé, cattive, ovviamente, ma occorre conoscerle e farne un uso corretto": Internet è un mondo reale, non virtuale.

Talora si pensa, infatti, che le proprie azioni sul web non abbiano conseguenze nel mondo reale, ma occorre prestare, invece, la massima attenzione perché Internet è "un'estensione del mondo fisico.

Internet non si può censurare e, quindi, una volta che pubblichiamo qualcosa accettiamo che quel contenuto resti su internet per sempre". Gli strumenti che usiamo possono, se usati male, arrecare danni gravissimi. Nella sua analisi formulata alla luce dell'ampia esperienza professionale accumulata, Surlinelli ha fornito indicazioni semplici ma importantissime per il nostro ruolo di insegnanti, ma anche per i genitori, per chiunque.

La gravità dei rischi dell'uso scorretto di internet e dei social network aumenta a causa della disinformazione di molti adulti (insegnanti, genitori…) circa il funzionamento dei singoli strumenti tecnologici. Non tutti i genitori, infatti, possiedono un account su Facebook, così come non tutti gli insegnanti conoscono a fondo le nuove tecnologie.

E' vero che ciò che fanno i ragazzi non sarebbe comunque sempre controllabile anche qualora tutti gli adulti fossero preparatissimi, ma è altrettanto vero che un adulto incapace di usare Facebook non sa sfruttare adeguatamente le opportunità di controllo che gli capitano.


Il dott. Surlinelli ha presentato anche alcuni video molto importanti al fine di sensibilizzare i presenti sugli argomenti trattati. In uno di questi, veniva presentata una ragazza minorenne che inviava tramite Whatsapp a un compagno di classe foto che ritraevano alcune parti del suo corpo nude, e le conseguenze tremende di quel gesto: l'immediata diffusione, da parte del compagno maligno, delle suddette foto al gruppo di Whatsapp del quale tutta la classe, professore compreso, faceva parte.

I pericoli delle imprudenze telematiche spaziano, come noto, dalla pedofilia, alla diffamazione, all'estorsione, e le conseguenze non riguardano soltanto i minori (pedofilia, cyberbullismo), ma anche gli adulti, i quali, in caso di comportamenti gravemente nocivi come il sexting, corrono il concretissimo rischio di essere ricattati da persone senza scrupoli che, una volta ottenuto un filmato hard da parte della vittima, le estorcono denaro minacciando, altrimenti, di diffondere il video a tutti i contatti del suo account.


Riflettendo su questi fenomeni molto pericolosi, occorre domandarsi: se controlliamo i nostri figli al parco giochi, perché su internet li lasciamo senza controllo?

Non bisogna dimenticare, infatti, che accedere al web e ai social network espone i minori a entrare in contatto con chiunque, data la possibilità, offerta dai suddetti strumenti, di mentire tranquillamente circa la propria identità e presentarsi, quindi, con generalità e foto completamente false.
Occorre pertanto essere molto attenti e vigilanti, e conoscere i nuovi mezzi che la tecnologia offre, affinché tra la famiglia e la scuola esista una… rete vera e fruttifera.

Paolo Pero.
Il Cittadino 7/12/2014

 

Ci voleva un musulmano a smascherare la Cirinnà
Dopo le unioni gay, perché non dovrebbe essere un diritto anche la poligamia?

Prime coppie omosex unite civilmente all'ombra della Madonnina a Milano. Hamza Piccardo, ex dirigente dell'Unione delle comunità islamiche (Ucoii), sulla sua pagina Facebook così commenta il rito presieduto del neo sindaco Beppe Sala: "Se è solo una questione di diritti civili, ebbene la poligamia è un diritto civile. Lo Stato regolamenti le nozze plurime. Non si può vietare di avere più mogli"
Ovviamente gli anticorpi del politicamente corretto si sono subito attivati ed eccitati. Il primo a prendere la parola è stato proprio Sala: "Personalmente condivido molto poco del suo pensiero, certamente non le recenti dichiarazioni sulla poligamia". A ruota il vicesindaco Anna Scavuzzo: "Forse Piccardo non conosce la Costituzione". Analoga reazione per l'assessore al welfare Pierfrancesco Majorino: "È una ridicola provocazione. Per fortuna è incompatibile con le leggi vigenti. La posizione di Hamza Piccardo è folle. Promuovere la poligamia significa proporre un terribile passo indietro sul piano dei diritti delle donne e sull'idea stessa di relazione tra i generi. Per fortuna non è minimamente all'ordine del giorno".
Stessa musica per il vicesegretario del Pd nonché presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani: "secoli di lotte per l'emancipazione della donna non possono essere certo messi da parte. Apertura e tolleranza sono il segno caratterizzante della nostra cultura, ma non possono spingersi fino a rinnegare se stesse. I diritti civili con la poligamia non c'entrano". E per chiudere, Maria Stella Gelmini, vicecapogruppo di Forza Italia alla Camera: "La tolleranza non può ignorare le nostre radici".
Alla sera Piccardo precisa, ma non arretra: "I musulmani non sono d'accordo neppure sulle unioni omosessuali e tuttavia non possono che accettare un ordinamento che le ha consentite. Nessuno vuole dettare legge. Non si capisce perché una relazione tra adulti edotti e consenzienti possa essere vietata, di più, stigmatizzata e aborrita. Rispetto la laicità dello Stato che per me vuole dire equivicinanza".
A chi dare ragione in questa polemica? Ahinoi a Piccardo. Infatti, varata la legge sulle unioni civilitutte le riserve espresse da questi politici e da altri opinionisti sono destinate a cadere. Accettate le premesse non si può che accettare anche le conclusioni. In primo luogo le unioni civili si basano sulla libertà di due persone dello stesso sesso di rendere legittimo il loro legame anche di fronte alla legge. Perché vietarlo anche a tre o quattro persone che si vogliono unire reciprocamente? Se i primi devono essere liberi di vedersi riconosciuti questo diritto perché non predicare uguale diritto anche per coloro i quali vogliono costituire un legame poligamico? Non concederlo sarebbe discriminatorio: "è una questione di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Comunque i diritti sono tutti sullo stesso piano", ammonisce l'ex dirigente Ucoii. Tanto più che, come la comunità gay, anche i musulmani sono una minoranza da tutelare. Lo rammenta ancora una volta Piccardo: "I soggetti interessati [dalle unioni civili] sono comunque una minoranza, come lo sarebbero i poligami".
Se le unioni civili omosessuali trovano il loro fondamento nell' "affetto", perché vietare che questostesso affetto sia solo bipolare e non tri- tetrapolare?
Se love is love perché tale love dovrebbe essere rinchiuso nelle angustie pareti di un legame di coppia e non potrebbe invece aprirsi agli infiniti spazi celesti del pluralismo amoroso? Chi ama tanto il pluralismo dovrebbe plaudere alla poligamia. Così come gli antiproibizionisti dell'amore. Se domandiamo con fare retorico e con acredine "Chi lo dice che due persone omosessuali non possono amarsi?", non possiamo che domandare con identico spirito "Chi lo dice che tre persone non possono amarsi?". Se l'amore - dato che per definizione è cieco (quindi handicappato) - non conosce distinzione di sesso, perché dovrebbe conoscere distinzione numerica? Se l'"amore" di due persone omosessuali vale come quelle di due eterosessuali, quello di quattro persone vale doppio. La matematica anche negli affari di cuore non è un'opinione.
Si tira in ballo poi la Costituzione dichiarando che la poligamia è incostituzionale. Ma anche le unioni civili sono illegittime dal punto di vista costituzionale, dato che per il nostro ordinamento l'unica relazione a due che possa venire riconosciuta giuridicamente è quella matrimoniale eterosessuale. Eppure sono diventate legge. E poi, si sa, le leggi anche quelle costituzionali mutano. Vedi prossimo referendum. E mutano perché mutano i costumi. É ciò che fino allo sfinimento tutti i sostenitori delle "nozze" gay ci hanno ripetuto: la società è cambiata, non siamo più nel Medioevo e quindi le leggi devono prendere atto di questi mutamenti sociali. Da ciò consegue che, se i musulmani stanno crescendo numericamente nella società italiana, i loro usi e costumi dovranno prima o poi ricevere riconoscimento giuridico, pena la discriminazione di questa comunità.
Nella caduta a cascata dei paradossi innescati dalla legge Cirinnà, c'è posto pure per la rivendicazione dei possibili effetti positivi della poligamia per tutta la società: "Non si sottovaluti l'azione demografica della poligamia", spiega Piccardo, "che riequilibrerebbe in parte il calo e la conseguente necessità di mano d'opera straniera, con le reazioni che conosciamo". Che dire poi del vulnus alle nostre radici che porterebbe la legalizzazione della poligamia? Le stesse cose che si potrebbero dire in merito alle unioni civili. I fiori d'arancio gay stanno alle radici cristiane della nostra cultura come i divorziati risposati stanno alla comunione (ma forse il paragone non è più attuale).
Anche la critica in merito al fatto che la poligamia discrimina le donne è facile da smontare usando le stesse armi di chi si straccia le vesti per le esternazioni di Piccardo. Il principio supremo della contemporaneità non è l'autodeterminazione? Il libero arbitrio? La libertà? Quella stessa "libertà" che, tutelata dalla 194, ha portato in Italia decine di milioni di donne di abortire? Quella stessa "libertà" che ha permesso alle coppie italiane grazie alla legge 40 di produrre in provetta e uccidere un'infinita moltitudine di bambini? La stessa "libertà" che è fondamento delle volontà di due persone omosessuali di unirsi civilmente e che, a breve, aprirà la strada italica all'eutanasia?
Ebbene che si riconosca identica "libertà" anche alla donna che - come ricorda Piccardo - vuole in piena coscienza e consapevolezza "sposare" un uomo che ha già altre mogli. Vietarlo sarebbe un oltraggio alla sua autonomia come donna, nonché alla sua intelligenza. C'è poi un altro motivo per dire che le donne con la poligamia non diventeranno cittadine di serie B: basterà legittimare anche la poliandria. Senza tacer del fatto che anche i gay ne beneficeranno dato che, facendo sposare la legge sulle unioni civili con quella sulla poligamia, anche gli omosessuali potranno convolare a "nozze" con più persone. E queste potranno essere omosessuali anch'esse, oppure etero, sia uomini che donne. Un'unione civile all'ennesima potenza. Non possono che esultare i sostenitori dell'amore libero, liquido, poliforme, senza limiti e senza barriere, assolutamente fantasioso e carnascialesco.
Anche il cattolico modernista, progressista e liberale non può che essere a favore della poligamia.Infatti, quest'ultima, seppur in filigrana, è già presente da un bel pezzo nel nostro ordinamento. Le abbiamo solo cambiato nome, infatti si chiama divorzio. Il divorziato risposato - nella prospettiva cattolica - a ben guardare è legato almeno a due mogli. L'una vera, la prima, sposata davanti a Dio ed una posticcia, la seconda, vestita di soli abiti civili. É già un inizio promettente di poligamia, non trovate?
Infine, sempre nell'orizzonte aperto dalle unioni civili, i musulmani avrebbero più diritto degli omosessuali di vedersi legalizzata la poligamia. Tale costume è di antichissima memoria, disciplinato giuridicamente dall'Islam, assai diffuso in tutto il mondo, così come ricorda ancora il puntuale Piccardo: "Noi chiediamo la poligamia secondo la Rivelazione e tradizione". Insomma c'erano prima gli islamici che i gay. In sintesi. La poligamia sarebbe l'effetto naturale della legge Cirinnà la quale è costruita attorno ai seguenti principi che portano dritti dritti a legalizzare anche il poli-matrimonio: l'affetto, la libertà e il divieto di discriminazione. Perché ingoiato il cammello ora si filtra il moscerino?

 

Questa è la legge …….però non si deve applicarla

Continuano a susseguirsi preoccupanti casi di pubbliche accusa di omofobia a persone che semplicemente stanno esprimendo la loro libertà di parola e di credo.

Ecco il caso:

Ricordate Ignazio Marino e altri sindaci che come lui avevano pubblicamente trascritto nei registri comunali i "matrimoni" omosessuali contratti all'estero? Negli scorsi giorni il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza che ha affermato definitivamente l'illegittimità di questo atto:
"Il matrimonio celebrato (all'estero) tra persone dello stesso sesso […] risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento. […] il corretto esercizio della (propria) potestà impedisce all'ufficiale dello stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all'estero".

Le associazioni LGBT, incitate da alcuni quotidiani ("La Repubblica" in testa) hanno scatenato una vera e propria gogna mediatica nei confronti del giudice relatore della legge, Carlo Deodato, uno dei cinque giudici che hanno emesso la pronuncia.

La sua colpa? Sul suo profilo twitter si definisce "Giurista, cattolico, sposato e padre di due figli" e condivide articoli di alcuni giornali come "La Nuova Bussola Quotidiana" e "Tempi" sull'avanzata del gender e l'azione delle Sentinelle in Piedi. Tanto basta per bollarlo di "omofobia" e terzietà nel giudizio e sbatterlo sulle pagine di tutti i giornali.

Deodato, insieme agli altri giudici, è stato semplicemente fedele nell'applicazione della norma vigente in Italia che prevede che per esserci matrimonio è necessaria la diversità di sesso dei nubendi. Quello dei sindaci non è un atto nullo, ma addirittura "inesistente". Quindi, aggiungiamo noi, puramente ideologico.

Il giudice Carlo Deodato sta pagando di persona le conseguenze del definirsi pubblicamente "cattolico" e auspichiamo che i Sindaci smettano di usare la loro posizione per portare avanti una battaglia puramente ideologica e politica e - ora è nero su bianco - contraria alla legge italiana.

Casi come questi ci fanno temere per un progressivo crescendo di questa "persecuzione silenziosa" che prevede una vera e propria una gogna mediatica nei confronti di chi si definisce cattolico e agisce coerentemente al proprio credo.

Invitiamo tutti a unirsi con noi nella preghiera perché i cattolici continuino senza paura a testimoniare la propria fede.

La fortuna di nascere nella parte giusta del pianeta.

 

Giusta intesa non come migliore, ma solo come non tormentata da guerre, fanatismi, fame, miseria.
Nascere in una cameretta con carta da parati, invece che in un campo profughi.

Senza avere merito alcuno, semplicemente perché il fato ha deciso cosi. Vivere da privilegiati e non accorgersene. Continuare a lamentarsi per il cattivo tempo, le ferie andate in malora, la macchina troppo piccola, il cibo che non ci piace e che buttiamo via, cosi, senza pensarci.

Mentre una ragazzina sbuffa ad alta voce, sotto l'ombrellone, per i compiti che non vuole fare, per la scuola che "fa schifo", per lo smartphone che non prende, per il costume nuovo che tira e che non vuole mettere più, con l'indolenza apatica e spietata di certe adolescenti abituate ad avere tutto senza sforzo, in quell'altra parte di mondo tante sue coetanee combattono e rischiano la vita per cose importantissime e banali, banali per noi: Professare il proprio credo senza essere perseguitate, torturate, uccise barbaramente, come sta accadendo in Iraq.

Un suo coetaneo in quell'altra parte di mondo s'informa su qual è il modo migliore per migrare. Quanta strada dovrà fare.
E quanto costerà. Se arriverà vivo, sarà essere approdato al punto di partenza del gioco dell'oca. Mentre l'altro e già avanti, lui e solo all'inizio.

Tutta quella strada alle spalle, nella sabbia e nel mare, per cominciare da zero. E davanti, un'infinità di caselle e un dado ostile, che ti può ributtare indietro. Non c'è giustizia in questo svantaggio perenne, tra noi e loro. Non c'è giustizia nella loro fatica e nella nostra ostinata indifferenza.

Mentre un bambino, con gli amici ancora al mare, si lamenta perché non sa che fare nella sua cameretta piena di cose, altri bambini in quell'altra parte di mondo improvvisano un gioco dentro un palazzo sventrato dalle bombe. Ridono amaro davanti all'obiettivo del fotografo, fingendosi gli eroi di un film di guerra.

Studiare, usare la propria intelligenza e il proprio talento per qualcosa che non sia solo andare in sposa a qualcuno che a volte neanche si conosce.

Applicarli a un sogno, quell'intelligenza e quel talento, vederli volare. Diventare medici e avvocati. Senza paura che qualcuno se le venga a prendere e le riduca in schiavitù, com'e successo in Nigeria, a causa di quell'idea pazza e sovversiva di decidere del proprio destino.

II privilegio di scegliere. L'uomo da amare. Il lavoro da fare. Il futuro da costruire.
Provarci, almeno.
Dovrebbe essere un diritto per tutti.
Progettare la vita che si vorrebbe.
Non sopravvivere e basta, scansando i colpi.
Mentre un giovane laureato, in questa parte di mondo, si chiede: e adesso, cosa voglio diventare?

Chissà se hanno paura del buio, come i bambini di questo mondo. Loro che il buio lo abitano.
Quello delle stive che sanno di benzina e quello delle case senza elettricità. Il buio del sonno senza sogni, interrotto dal sibilo dei razzi e dall'urgenza di, all'improvviso, perdendo da un minuto all'altro cose e persone.
Giocare a dadi con la vita tutti i giorni.
A Gaza, in Siria, in Iraq, in Ucraina, in tanti Stati dell'Africa, dentro di un mare che credevi amico e che invece, a tradimento, t'inghiotte.

Mentre noi leggiamo il giornale o mangiamo un panino all'autogrill. Non ci possiamo fare niente, o molto poco, malgrado lo sforzo di tante ONG.

Ma possiamo almeno essere grati di quello che abbiamo.
Farci caso.
E vergognarci un po'.

direttoregioia@hearst.it

 

LETTERA DALLA MISSIONE DI PADRE STEFANO
Bouar, Repubblica Centrafricana, 1 aprile 2014

Carissima signora Ingeborg, don Bruno e Comunità cattolica tedesca di Genova,

grazie per il bollettino di aprile. E complimenti! Li ricevo e leggo sempre volentieri e mi fanno sentirvi vicini. Vi aggiungo di seguito qualche notizia della situazione della Repubblica Centrafricana, paese dove sono missionario e dove continua a svolgere le mie attività.
Il Centrafrica, questo povero e martoriato paese è diviso ormai sempre più nettamente in due (il nord, oltre alla metà del territorio nazionale, è in mano a gruppi armati di Seleka, mussulmani) C'è il caos più totale e anche quelli che dovrebbero essere qui per soccorrerlo (Forze interafricane e francesi), sembrano purtroppo fare solo il loro interesse. E' la storia che purtroppo si ripete tristamente "magistra vitae?" (vedi quel che la Russia sta per l'ennesima volta facendo, stavolta a spese dell'Ucraina...).
Bangui, la capitale, dove mi trovavo fino a sei mesi fa, sta precipitando in un vortice di violenza e di morte raccapriccianti e in continua progressione, e così continuerà, purtroppo, finche vi ci saranno dei musulmani. Il Carmel, la mia precedente comunità, è ora un grande campo di rifugiati con quasi 10.000 sfollati, irriconoscibile!)
Per ora Bouar, dove mi trovo, è una delle città più tranquille del Centrafrica. Qui, almeno in città. A differenza di altrove, qualche raro mussulmano ha scelto, per ora, di restare. La presenza dei soldati francesi scoraggia almeno un pò chi ha solo sete di rubare e di vendicarsi. Di notte, assai frequentemente, sentiamo spari di fucile o raffiche di Kalasnikov, solitamente tentativi di estorsione a mano armata o regolamenti di conti. Siamo condannati ad abituarci a convivere con la violenza. Il vivere qui in comunità con altri due bravi sacerdoti e dieci giovani africani aspiranti al sacerdozio, con tutto il loro entusiasmo giovanile, da comunque coraggio e serenità.
Anche se metto la mia fiducia nella protezione del buon Dio, seguo il proverbio che dice "Aiutati che il Ciel ti aiuta" e stò facendo rinforzare muri e portali della nostra Missione per scoraggiare il più possibile gli eventuali aggressori notturni o diurni. Realizziamo cose fino a poco tempo fa impensabili: muri di cinta più alti e rinforzati con vetri, ferri appuntiti o filo spinato in cima, sistemi d'allarme, suonando per esempio le campane o altro. Stiamo perfino cercando di procurarci petardi e raudi (quei petardi rumorosissimi).

Abbiamo fatto la richiesta ufficiale di protezione ai militari della forza interafricana (MISCA), che ci hanno promesso di fare il possibile per mandare qualche loro militare a fare la guardia fissa alla nostra Missione. Sono venuti a constatare in modo solenne e impressionante: abbiamo visto entrare nel cancello della concessione un grande carro armato moderno (tanto che, al passaggio, ha fatto crollare le sponde del ponticello all'entrata!). Ma in realtà non ho molta fiducia che decideranno di venire veramente: posti in pericolo come il nostro ce ne sono tanti!

La situazione non ci fa comunque desistere e non ci rinchiude in noi stessi, anzi motiva ancora più, me e la nostra comunità, a venire in soccorso alla povera gente.

Nell'immensità dei bisogni cerco di lavorare nell'ambito a me più proprio: aiutare e motivare ragazzi e giovani a non scoraggiarsi. I nostri movimenti ecclesiali, soprattutto quelli infantili e giovanili, sono in piena attività e molto frequentati. Ogni giorno vengono a studiare nelle sale in basso del convento, ragazzi e giovani volenterosi. Finché ne avrò i mezzi, continuerò à incoraggiare chi ha più volontà e talento, anche pagando, in parte o "in toto" le spese scolastiche e dando, a chi è più demunito, qualcosa da mangiare. La settimana scorsa, sabato e domenica, abbiamo avuto il ritiro mensile con una quarantina di ragazzi e ragazze, conclusosi, stavolta, con una graditissima passeggiata e il pranzo al fiume, con giochi e nuotata. Numerosi poi sono i giovani che chiedono di essere accompagnati nella loro vocazione e che accompagno personalmente e in gruppo.

Lavoro non ne manca qui a Sant Elia! Oltre ad aiutare la gente e i giovani stiamo intensificando gli allevamenti e, approfittando delle prime piogge, piantiamo alberi da frutto e verdure di ogni genere. In tempi difficili è meglio essere autosufficienti.

E così diamo un esempio positivo e incoraggiante alla gente. Anche per questo riesco a mettermi a scrivere solo di rado .

Ecco in breve (o in lungo) la mia vita e le mie attività, ansie e desideri di questi ultimi tempi.
A tutti voi, a chi mi conosce e a chi non conosco ancora, gli auguri di ogni bene per questo tempo di Quaresima e la Pasqua che verrà presto.

Con la preghiera mia e dei nostri cristiani vi saluto di cuore.

P.Stefano

 

 

PAPA FRANCESCO

"CAMMINARE - EDIFICARE - CONFESSARE"

PAROLE DEL SANTO PADRE

 

"Per dialogare è necessaria la mitezza, senza gridare.

È necessario anche pensare che l'altra persona ha qualcosa di più di me, e Davide lo pensava: 'Lui è l'unto del Signore, è più importante di me'. L'umiltà, la mitezza…

Per dialogare, è necessario fare quello che abbiamo chiesto oggi nella preghiera, all'inizio della Messa: farsi tutto a tutti. Umiltà, mitezza, farsi tutto a tutti e anche - però non è scritto nella Bibbia - tutti sappiamo che per fare queste cose bisogna ingoiare tanti rospi. Ma, dobbiamo farlo, perché la pace si fa così: con l'umiltà, l'umiliazione, cercando sempre di vedere nell'altro l'immagine di Dio".


"Umiliarsi, e sempre fare il ponte, sempre. Sempre.

E questo è essere cristiano.

Non è facile.

Gesù lo ha fatto: si è umiliato fino alla fine, ci ha fatto vedere la strada.

Ed è necessario che non passi tanto tempo: quando c'è il problema, il più presto possibile, nel momento in cui si possa fare, dopo che è passata la tormenta, avvicinarsi al dialogo, perché il tempo fa crescere il muro, come fa crescere l'erba cattiva che impedisce la crescita del grano. E quando i muri crescono è tanto difficile la riconciliazione: è tanto difficile!".


"Io ho paura di questi muri, di questi muri che crescono ogni giorno e favoriscono i risentimenti. Anche l'odio. Pensiamo a questo giovane Davide: avrebbe potuto vendicarsi perfettamente, avrebbe potuto mandare via il re e lui ha scelto la strada del dialogo, con l'umiltà, la mitezza, la dolcezza. Possiamo chiedere a San Francesco di Sales, Dottore della dolcezza, che dia a tutti noi la grazia di fare ponti con gli altri, mai muri".

INTERVISTA A PAPA FRANCESCO

Lei ha incontrato più volte i bambini gravemente ammalati. Che cosa può dire davanti a questa sofferenza innocente?

"Un maestro di vita per me è stato Dostoevskij, e quella sua domanda, esplicita e implicita, ha sempre girato nel mio cuore: perché soffrono i bambini? Non c'è spiegazione. Mi viene questa immagine: a un certo punto della sua vita il bambino si "sveglia", non capisce molte cose, si sente minacciato, comincia a fare domande al papà o alla mamma. È l'età dei "perché". Ma quando il figlio domanda, poi non ascolta tutto ciò che hai da dire, ti incalza subito con nuovi "perché?". Quello che cerca, più della spiegazione, è lo sguardo del papà che dà sicurezza. Davanti a un bambino sofferente, l'unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo".

Parlando della sofferenza dei bambini non si può dimenticare la tragedia di chi soffre la fame.

"Con il cibo che avanziamo e buttiamo potremmo dar da mangiare a tantissimi. Se riuscissimo a non sprecare, a riciclare il cibo, la fame nel mondo diminuirebbe di molto. Mi ha impressionato leggere una statistica che parla di 10mila bambini morti di fame ogni giorno nel mondo. Ci sono tanti bambini che piangono perché hanno fame. L'altro giorno all'udienza del mercoledì, dietro una transenna, c'era una giovane mamma col suo bambino di pochi mesi. Quando sono passato, il bambino piangeva tanto. La madre lo accarezzava. Le ho detto: signora, credo che il piccolo abbia fame. Lei ha risposto: sì sarebbe l'ora... Ho replicato: ma gli dia da mangiare, per favore! Lei aveva pudore, non voleva allattarlo in pubblico, mentre passava il Papa. Ecco, vorrei dire lo stesso all'umanità: date da mangiare! Quella donna aveva il latte per il suo bambino, nel mondo abbiamo sufficiente cibo per sfamare tutti. Se lavoriamo con le organizzazioni umanitarie e riusciamo a essere tutti d'accordo nel non sprecare il cibo, facendolo arrivare a chi ne ha bisogno, daremo un grande contributo per risolvere la tragedia della fame nel mondo. Vorrei ripetere all'umanità ciò che ho detto a quella mamma: date da mangiare a chi ha fame! La speranza e la tenerezza del Natale del Signore ci scuotano dall'indifferenza".

Alcuni brani dell'"Evangelii Gaudium" le hanno attirato le accuse degli ultra-conservatori americani. Che effetto fa a un Papa sentirsi definire "marxista"?

"L'ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso". Le parole che hanno colpito di più sono quelle sull'economia che "uccide"... "Nell'esortazione non c'è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L'unica citazione specifica è stata per le teorie della "ricaduta favorevole", secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C'era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s'ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l'unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista".

Lei ha annunciato una "conversione del papato". Gli incontri con i patriarchi ortodossi le hanno suggerito qualche via concreta?

"Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest'ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l'eucaristia insieme, ma l'amicizia c'è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l'unità. Ci siamo benedetti l'un l'altro, un fratello benedice l'altro, un fratello si chiama Pietro e l'altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso...".

L'unità dei cristiani è una priorità per lei?

"Sì, per me l'ecumenismo è prioritario. Oggi esiste l'ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l'unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L'unità è una grazia, che si deve chiedere. Conoscevo ad Amburgo un parroco che seguiva la causa di beatificazione di un prete cattolico ghigliottinato dai nazisti perché insegnava il catechismo ai bambini. Dopo di lui, nella fila dei condannati, c'era un pastore luterano, ucciso per lo stesso motivo. Il loro sangue si è mescolato. Quel parroco mi raccontava di essere andato dal vescovo e di avergli detto: "Continuo a seguire la causa, ma di tutti e due, non solo del cattolico". Questo è l'ecumenismo del sangue. Esiste anche oggi, basta leggere i giornali. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d'identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà".

Nell'esortazione lei ha invitato a scelte pastorali prudenti e audaci per quanto riguarda i sacramenti. A che cosa si riferiva?

"Quando parlo di prudenza non penso a un atteggiamento paralizzante, ma a una virtù di chi governa. La prudenza è una virtù di governo. Anche l'audacia lo è. Si deve governare con audacia e con prudenza. Ho parlato del battesimo e della comunione come cibo spirituale per andare avanti, da considerare un rimedio e non un premio. Alcuni hanno subito pensato ai sacramenti per i divorziati risposati, ma io non sono sceso in casi particolari: volevo solo indicare un principio. Dobbiamo cercare di facilitare la fede delle persone più che controllarla. L'anno scorso in Argentina avevo denunciato l'atteggiamento di alcuni preti che non battezzavano i figli delle ragazze madri. È una mentalità ammalata".

Ne tratterà il prossimo Sinodo dei vescovi?

"La sinodalità nella Chiesa è importante: del matrimonio nel suo complesso parleremo nelle riunioni del concistoro in febbraio. Poi il tema sarà affrontato al Sinodo straordinario dell'ottobre 2014 e ancora durante il Sinodo ordinario dell'anno successivo. In queste sedi tante cose si approfondiranno e si chiariranno".

Come procede il lavoro dei suoi otto "consiglieri" per la riforma della Curia?

"Il lavoro è lungo. Chi voleva avanzare proposte o inviare idee lo ha fatto. Il cardinale Bertello ha raccolto i pareri di tutti i dicasteri vaticani. Abbiamo ricevuto suggerimenti dai vescovi di tutto il mondo. Nell'ultima riunione gli otto cardinali hanno detto che siamo arrivati al momento di avanzare proposte concrete, e nel prossimo incontro, in febbraio, mi consegneranno i loro primi suggerimenti. Io sono sempre presente agli incontri, eccetto la mattina del mercoledì per via dell'udienza. Ma non parlo, ascolto soltanto, e questo mi fa bene. Un cardinale anziano alcuni mesi fa mi ha detto: "La riforma della Curia lei l'ha già cominciata con la messa quotidiana a Santa Marta". Questo mi ha fatto pensare: la riforma inizia sempre con iniziative spirituali e pastorali prima che con cambiamenti strutturali".


Qual è il giusto rapporto fra la Chiesa e la politica?

"Il rapporto deve essere allo stesso tempo parallelo e convergente. Parallelo, perché ognuno ha la sua strada e i suoi diversi compiti. Convergente, soltanto nell'aiutare il popolo. Quando i rapporti convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo, inizia quel connubio con il potere politico che finisce per imputridire la Chiesa: gli affari, i compromessi... Bisogna procedere paralleli, ognuno con il proprio metodo, i propri compiti, la propria vocazione. Convergenti solo nel bene comune. La politica è nobile, è una delle forme più alte di carità, come diceva Paolo VI. La sporchiamo quando la usiamo per gli affari. Anche la relazione fra Chiesa e potere politico può essere corrotta, se non converge soltanto nel bene comune".

Posso chiederle se avremo donne cardinale?

"È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non "clericalizzate". Chi pensa alle donne cardinale soffre un po' di clericalismo".

 

 

+ ARRIVIDERCI,

CARO DON RUGGERO,

NELLA CASA DEL PADRE.

Sabato 21 aprile 2012 Don Ruggero ha consegnato la sua anima nelle mani del Signore.

19 anni è un lungo periodo.
Quante gioie e preoccupazioni abbiamo vissuto insieme nella
pastorale della comunità.

Don Ruggero era un sacerdote con anima e corpo, sicuro della sua vocazione. Non c'era nessun giorno nella sua vita senza Eucaristia - addirittura alle ore 6 del mattino in lingua spagnola (per la gioia delle suore) - quando al congresso quel giorno non era previsto la S. Messa.

Era un "pozzo di scienza" in ogni ambito; specialmente le cose belle erano la sua passione. Non esisteva nessuna chiesa al mondo, che visitavamo, della quale non poteva raccontarci cose interessanti. Tutto questo nel suo modo sobrio e delicato.

I comunicandi di tutti gli anni lo hanno conosciuto da un altro lato: cantando correva intorno al cerchio e si apriva a loro. Nelle pause anche anni più tardi lo cercavano quando sapevano che era a scuola.

Soffriva il disordine. Quante ore abbiamo copiato e incollato testi e immagini - non avendo ancora un computer a disposizione - prima di accontentarlo. Sarà permesso a lui di continuare a fare ordine in cielo?

Fino all'agosto del 2004 era il cappellano della nostra comunità, nella quale poteva esercitare bene il suo tedesco.

La sua nomina di Abate-Parroco lo trovò contento e zelante. Sicuramente avrà la sua meritata ricompensa da parte del Signore. Ingeborg Friedmann

La Sorella di Don Ruggero, Gabriella, ha fatto un bellissimo libretto in memoria di lui per le persone che lo hanno conosciuto e stimato.

Se lo desiderate scrivete a cocatege@gmail.com (Ingeborg Friedmann)

 

 

Una meraviglia della natura: IL TRAMONTO

di Ugo Dodero

 

Se qualcuno mi chiedesse qual è lo spettacolo della natura che più mi affascina, che più mi seduce, la mia risposta sarebbe decisa, senza alcuna esitazione : il tramonto !

Penso sia molto difficile descriverlo, comunque voglio provarci.

Voglio descrivere le sensazioni che ho provato una sera dell’estate scorsa seduto in spiaggia, quasi sulla battigia, mentre scendevano le prime ombre della sera.

Una leggera brezza increspava la superficie del mare, calmo , quasi piatto. Una pace quasi irreale mi avvolgeva, io e tutto ciò che m’era attorno. Malgrado la giornata assai calda si stava bene ed una pigrizia, un senso di languore e di spossatezza m’impediva di alzarmi. Gioivo di tutto ciò e mi sentivo a mio agio, in pace con me stesso ed in sintonia con tutto ciò che mi circondava.

Il sole si stava avviando al tramonto. La linea dell’orizzonte si stagliava molto netta ed il cielo cominciava a tingersi di un’apoteosi di colori. Il giorno andava a morire ed un senso di tristezza cominciava ad invadermi. Il sole era una palla di fuoco che veniva inghiottita lentamente come una tenda che si chiude piano piano. I colori del cielo divenivano sempre più tenui, striature colorate che creavano le più diverse allegorie: un trionfo della metamorfosi.

 

Il giorno cedeva il passo alla notte.

Il cielo cominciava ad essere pieno di stelle, la cui luce si rifletteva sulla superficie del mare : un tappeto d’argento. Uno spettacolo indimenticabile che si ripete ogni giorno, un quadro, uno scenario che la natura ci elargisce con generosità.

Una scena talmente bella, talmente toccante, che ci cattura con passione e che, nello stesso tempo, ci dovrebbe condurre ad una riflessione : “ Chi siamo noi poveri mortali, noi piccoli grani di nulla al cospetto della Creazione ? Nulla , assolutamente nulla.

Noi tutti dovremmo riflettere sulle nostre presunzioni, sulle nostre arroganze e fatuità al cospetto di chi ci è superiore, al cospetto del Creatore .

Ne siamo capaci? Ne dubito.

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Dopo più dì trent'anni vissuti tra i giovani allo sbando mi interrogo su quanto sia difficile essere genitori oggi, educando i figli a conseguire certi valori attraverso il dialogo, le proposte, la forza del buon esempio.

Merita attenzione lo stile educativo. Ne conosco alcuni perché avvicino da molti anni famiglie, osservo come sono "costruite", quali comportamenti adottano. Ho così colto alcune dinamiche fondamentali, talvolta addirittura sconcertanti, come la coppia impreparata o divisa che passa dal permissivismo alla severità. Lascia ai figli massima libertà o meglio libertinaggio; tende a stabilire alcune regole di comportamento e quando il figlio trasgredisce, magari con comportamenti gravi (droga, alcol, vandalismo), interviene duramente e con autoritarismo.

Non meno pericoloso è il genitore che, con l'ingresso del figlio nell'adolescenza, passa da una premurosità perfino eccessiva all'ostilità anche aggressiva. Vi sono poi genitori preparati e con un'ottima chiarezza espositiva, che sanno spiegare le loro scelte educative e si attendono dal figlio comportamenti elevati, maturi.

È molto diffuso anche lo stile permissivo, forse il più pericoloso, che espone i ragazzi al disordine, a disattendere le regole fondamentali di convivenza.

Mancanza di polso o illusione che, evitando scogli, la navigazione sia più tranquilla. L'educazione senza paletti, senza regole, è adottata da quei genitori che esercitano uno scarso controllo sul figlio. Il rapporto con lui è molto affettuoso e

comunicativo, anche se il modello di vita proposto è basato sulle esteriorità, il divertimento, il sogno di una vita senza redini. Il permissivismo educativo è spesso la causa di droga e delinquenza ed è proprio il permissivismo la causa di molte crisi esistenziali. La noia è diffusissima tra quelli che provengono da famiglie permissive, dove il "tutto e subito" ha sostituito la fatica, il sacrificio per conseguire un diploma, una laurea, una professione.

La passività poi sta in compagnia della noia. I ragazzi cresciuti con il "sedere nel burro" pretendono tutto, si lamentano, minacciano persino i genitori se negano qualcosa. Lo stile educativo permissivo condanna il figlio a essere un bamboccio che partecipa alla vita come a un gioco o peggio a un fescennino.

Ci sono pure famiglie belle, solide, solari. I genitori autorevoli che esercitano sul figlio un buon controllo hanno un rapporto affettuoso e comunicativo e si aspettano un comportamento maturo. Lo stile autorevole è efficace, riserva al figlio affetto, alcune regole da osservare e gli stimoli necessari che lo mettono in salita.

Nello zaino dell'educatore autorevole si trovano risorse e valori preziosi da capitalizzare: la capacità d'insistere perché il comportamento sia corretto ed esprima, tra gli amici, intelligenza, bontà e fermezza nei propri principi morali; la disponibilità che permette al figlio di accogliere il genitore come un modello, non tanto da imitare quanto da apprezzare e con cui confrontarsi; 1'esempio, in virtù del quale il figlio accoglie con serenità le proposte dei genitori, assumendone gli insegnamenti.

Chino Pezzoli / Avvenire, luglio 2012

 

 

Fede e famiglia

Il ruolo della famiglia in rapporto alla proposta di fede nei riguardi dei figli è spesso non coerente, e a volte contraddittorio. I parroci e i sacerdoti non riescono ad avere una linea comune d'intervento per rispondere a quest'ambiguo atteggiamento della famiglia nell'educazione di fede dei propri figli. Per questo si pongono in modo diverso, seguendo regole e comportamenti differenti: da un rigorismo e da una inflessibile contrapposizione ad un atteggiamento lassista, a volte irresponsabile e certamente deresponsabilizzante.
Nell'uno o nell'altro atteggiamento si afferma in modo implicito un'incapacità educativa e una difficoltà reale: non si riesce cioè a collaborare per il bene e per la maturazione integrale dei ragazzi.
Questa mancanza di coordinamento tra i sacerdoti, i catechisti e le famiglie si riflette in modo drammatico e incide sulla collaborazione educativa. Il disimpegno, la delega educativa e formativa, la concezione solo formale della fede con il tempo indebolisce lo stesso cammino umano e cristiano proposto dal rinnovamento della catechesi postconciliare e vanifica le energie e le attività, che la parrocchia mette in campo per condurre i fanciulli, i ragazzi, gli adolescenti e i giovani alla personale professione e all'adesione a Cristo e alla vita della chiesa.
Per questo non è più possibile da parte del parroco, principale responsabile, per mandato del vescovo, della catechesi e dell'iniziazione cristiana rimandare il coinvolgimento delle famiglie nel percorso catechistico dei ragazzi.
Questa questione pastorale ovviamente coinvolge anche i catechisti, ma trova nel parroco, il referente istituzionale e il responsabile primo del cammino condiviso del catechismo in parrocchia. Egli si deve interrogare sul senso, sulla strada e sulle metodologie più adeguate per riuscire a realizzare un rapporto di collaborazione, se non ottimale, almeno adeguato e idoneo con le famiglie della propria parrocchia
.

don Gianfranco Calabrese
direttore dell'ufficio catechistico diocesano

 

_____________GENITORI E FIGLI _____________
Serve il dialogo

Domanda:
Mi trovo in una situazione veramente dolorosa: da un po' di tempo, la sera, al mio rientro a casa dopo una giornata di lavoro, i miei due figli di undici e tredici anni sembra non si accorgano nemmeno della mia presenza. Continuano indisturbati le loro attività davanti alla tivù o al computer. Questa cosa mi fa soffrire molto; mi chiedo perché, e vorrei vedere più entusiasmo da parte loro nel rivedermi. Mi chiedo cosa debba fare, se lamentarmi o fare finta di niente. Oltretutto non mi piace elemosinare dell'affetto.
Risposta:

Elemosinare dell'affetto mi sembra un concetto improprio. E' indubbio che i suoi ragazzi le vogliano bene, ma è anche giusto cercare di capire cosa stia succedendo in casa sua. Non mi dice quale sia la sua reazione a questa "indifferenza".
Si arrabbia, protesta, oppure sta orgogliosamente in silenzio? Sua moglie, in tutto questo, che parte ha? Ne avete parlato? Nelle famiglie ci sono dei ruoli ben precisi; quello della madre è anche di sostenere e sottolineare la figura paterna. Parli innanzitutto con sua moglie di questo suo cruccio, e la inviti a organizzare l'accoglienza serale della figura paterna, ritagliando uno spazio tutto vostro, ad esempio: cenate abitualmente tutti e quattro insieme?
Lei non mi dice che tipo di rapporti intercorrono con i suoi figli, se condivide con loro le loro passioni, quindi se gioca al computer con uno di loro, ritagliando un momento tutto per voi, o se guarda la tivù con entrambi commentando la trasmissione, creando quindi l'occasione di un interscambio comunicativo. Forse varrebbe la pena di dire a chiare lettere quello che non le piace vivere la sera a casa sua. Bisogna a questo punto scardinare un meccanismo e impostarne un altro. La situazione può cambiare, ma lei deve essere in grado, insieme a sua moglie, di proporne un'altra.

Avvenire Gennaio 2012

 

IL PRIMO AMORE

Il primo amore di Dio sono stati gli Ebrei.

Non dobbiamo mai dimenticare che essi sono coloro
ai quali Dio si è rivolto per primo,
che da loro nacque il Figlio di Dio,
che ad essi dobbiamo le Sacre Scritture.

L'ebraismo è la premessa per il cristianesimo:
perciò devo riservare agli ebrei uno spazio speciale nel mio cuore.

Essi sono "I nostri fratelli maggiori",
come ha detto l'indimenticato papa Giovanni Paolo II.

I Papi e gli ebrei

Il filosofo ebreo francesce Bernard-Henry Levy ha difeso il papa Benedetto XVI dai suoi critici. In un suo articolo sulla "Frankfurter Allgemeine Zeitung" (giornale di Francoforte) Levy ha soprattutto rigettato il rimprovero, secondo cui durante il pontificato di Benedetto XVI ci sia stato un regresso nei rapporti tra la Chiesa cattolica e l'ebraismo.
Il Papa ha asserito ripetutamente "di volere 'approfondire e svillupare il dialogo tra pari con i fratelli maggiori' dei cristiani, gli ebrei". Si potrebbe rimproverargli tanto, "ma non certamente di 'congelare' il processo iniziato da Giovanni XXIII", scrive Levy.Il filosofo si duole del fatto che non appena il discorso verte su papa Benedetto, "pregiudizi, mancanze di sincerità e addirittura vera e propria disinformazione dominano ogni discussione".
Levy ricorda le visite di Benedetto XVI nelle sinagoghe di Colonia e New York, come pure recentemente a Roma. Contemporaneamente Levy accentua che Benedetto XVI ha fatto sua la preghiera di Giovanni Paolo II al muro del pianto di Gerusalemme. "Ha chiesto scusa al popolo ebraico per un antisemitismo che a lungo è stato nutrito dal cattolicesimo", così scrive Levy. Dal momento che ha fatto ciò, "si dovrebbe quindi cessare di ripetere come un asino, di aver fatto un passo indietro rispetto a suoi predecessori".

Henry Levy ha anche preso posizione per quel che riguarda la critica al papa Pio XII nella questione del suo atteggiamento di fronte ai nazisti. Quando era ancora Segretario di Stato vaticano (1937) Eugenio Pacelli ha redatto l'enciclica con viva preoccupazione. Questo è stato fino ad oggi "uno dei manifesti più risoluti e più energici contro i nazisti. Come Papa non ha soltanto segretamente fatto sì che i conventi fossero aperti agli ebrei romani perseguitati, ma ha anche tenuto importanti discorsi alla radio che gli hanno più tardi procurato il riconoscimento da parte di Golda Meir, presidente dello Stato d'Israele.
Levy scrive testualmente: "Il mondo intero tacque sulla Shoah, e ora si vuole quasi riversare tutta la responsabilità di questo silenzio sulle spalle di un sovrano che non aveva né cannoni né aerei; che in secondo luogo, si adoperò per fare partecipi delle sue informazioni coloro che avevano tali armi; in terzo luogo, riuscì a salvare a Roma ed altrove un grosso numero di coloro per i quali aveva la responsabilità morale.

 

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Cosa c'è dopo la morte?

Non è facile dare una risposta comprensibile.

Sappiamo che la nostra "vita dopo" sarà totalmente trasformata dallo Spirito di Gesù risorto. Noi dobbiamo fidarci di Dio e del messaggio che viene dalla Parola di Gesù, scritta e trasmessa nella Chiesa.

"Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo" (Mt 25,34).

Possiamo credere che saremo immersi nella grande luce dell'amore di Dio Padre, in una vita dove non ci sarà pianto, né dolore.
Dio ci ha creati perché possiamo conoscerLo, amarLo e servirLo come nostro Padre e vivere con lui una beatitudine senza fine.

Con il Battesimo, la Chiesa dona all'uomo la speranza nuova: la certezza della vittoria del bene sul male, dell'amore sull'egoismo, della vita sulla morte.

Al termine della nostra vita sarà l'ora di tornare a "casa". Dio Padre, ricco di grazia e di amore, ci aspetta nella sua casa.

IL PARADISO: Per noi cristiani è "il regno dei cieli" e consiste in una vita perfetta, nella comunione con il Padre, Gesù Cristo, lo Spirito Santo, Maria, i santi, gli angeli e tutte le persone che ci hanno preceduto.

IL PURGATORIO: La Chiesa insegna che il purgatorio esiste, non come un luogo ma come uno stato di purificazione finale, prima di entrare in paradiso.

L'INFERNO: È la situazione delle anime lontane da Dio con l'eterno desiderio mai realizzabile di essere felici in comunione con Lui. L'uomo stesso definisce durante la sua vita terrena lo stato dopo la sua morte. Se decide liberamente, a tutti i costi, di essere indipendente da Dio, la sua volontà viene rispettata da Dio: è questo l'inferno.

 

I SACERDOTI DELLA NOSTRA DIOCESI

Don Luigi Orione nacque a Pontecurone (Alessandria), il 23 giugno 1872.

E' conosciuto nel mondo come un "beato", come un campione della santità cristiana, come il fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza.

Affrontò problemi sociali ed ecclesiali di ogni genere, avvicinò alte personalità della politica, della cultura e della Chiesa, tutti illuminando con il suo sguardo sapiente e la sua azione generosa. Gli scritti di Don Orione hanno raggiunto una infinità di destinatari, a tutti portando conforto, intelligenza di fede, ricchezza di contenuti.

"Il folle di Dio", l'ha definito il biografo Pronzato, mentre Papa Luciani ha riconosciuto in lui "lo stratega della carità". Lui si è definito "il facchino della Divina Provvidenza" e con altri simili epiteti che confessano la sua sconfinata fiducia Dio e la volontà di essergli umile servitore.
Pio XII alla sua morte, avvenuta il 12 marzo 1940, l'ha definito "padre dei poveri e insigne benefattore dell'umanità dolorante e abbandonata".

Il Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 26 ottobre 1980, presentandolo alla Chiesa come "una meravigliosa e geniale espressione della carità cristiana", "fu certamente una delle personalità più eminenti di questo secolo per la sua fede cristiana apertamente vissuta", "ebbe la tempra e il cuore dell'Apostolo Paolo, tenero e sensibile fino alle lacrime, infaticabile e coraggioso fino all'ardimento, tenace e dinamico fino all'eroismo".

La sua santità ha suscitato e continua a generare fama e devozione nei fedeli, imitazione e sequela nei discepoli. Resta vivo il suo carisma, un dono perenne e universale fatto alla Chiesa, "trasmesso ai discepoli per essere da questi vissuto, custodito, approfondito e costantemente svilupato in sintonia con la Chiesa" (MR 11).

Della luce di questo carisma si sono illuminati molti eminenti seguaci di Don Orione, alcuni dei quali stanno per essere proposti agli onori degli altari, altri hanno lasciato profonde tracce nella vita della Chiesa e della società, altri - i più - pur meno noti, hanno "dato la vita in gioioso olocausto di carità per la Chiesa e per le Anime" (Don Orione). Sono i "Santi di Famiglia".

La sua fondazione, diffusa oggi in una trentina di nazioni del mondo, comprende le Congregazioni religiose dei Figli della Divina Providenza, delle Piccole Suore Missionarie della Carità, l'Istituto Secolare e un vasto Movimento Laicale che irradia nel mondo, soprattutto tra i più poveri, lo spirito e i progetti di bene del Fondatore.

 

Un coraggioso sacerdote genovese
Don Emanuele Levrero

Don Levrero,ex parroco di Carrosio, scomparso nel 1999 a 84 anni. Lui di ebrei (e di antifascisti) ne ha salvati moltissimi quando guidava la chiesa di San Bartolomeo del Fossato a Sampierdarena.
Mentre il mondo era finito in preda all'orrore nazista, lui, come tanti altri anche nella sua città, pensava a salvare chi veniva braccato per essere deportato nei campi di sterminio in base alla sua "razza" o alle sue idee.

L'opera di don Levrero è rimasta nascosta nel ricordo di chi l'ha vissuta, senza essere resa nota, come avrebbe meritato, quando lui era ancora in vita.
Era arrivato a Carrosio nel 1976, a oltre trent'anni da questi gesti illuminanti nella notte della seconda guerra mondiale.
Un parroco magari anche un po' burbero ma un vero pastore, ricordato da tutti con grande affetto, anche da chi non seguiva la messa. Un uomo dal cuore grande, ma della sua opera a favore degli ebrei a Genova, in 23 anni a Carrosio (e neppure dopo la guerra a Sampierdarena), solo qualche piccolo accenno, molto vago.

Dall'anno del suo arrivo in val Lemme, però, si notavano ogni tanto grosse auto con targa straniera nel piazzale di fronte alla chiesa. Chi scendeva andava sempre a far visita a don Levrero: persone sconosciute e un po' misteriose, che si notano subito in un piccolo paese come Carrosio, soprattutto se i convenuti, alcuni anziani, salutavano don Emanuele in lacrime.
Nel 1999 il parroco moriva portandosi dietro il suo segreto, ma nel 2007 al Comune di Carrosio è arrivata una lettera. Era firmata da un cittadino francese residente in Belgio, Michel Lemper, di origine ebraica, che chiedeva notizie di don Levrero. L'autore ricordava che, da bambino, fu salvato dal prelato insieme ai genitori: la famiglia fuggì da Marsiglia dalla deportazione, ottenendo ospitalità e documenti per l'espatrio proprio nella parrocchia genovese, grazie

alla rete organizzata dalla chiesa ligure.

Finita la guerra Lemper era rimasto in contatto con il parroco, che aveva visitato a Genova nel 1958 e poi a Carrosio dopo il 76. L'uomo informava gli amministratori di Carrosio della sua volontà di far inserire don Levrero tra i "Giusti tra le nazioni", onorificenza della Corte Suprema di Israele che consiste, tra l'altro, in una medaglia con inciso il nome, un certificato d'onore e nel piantare un albero, pratica che nella tradizione ebraica indica ricordo eterno per una persona cara, come è capitato a 417 italiani (dalle testimonianze raccolte si parla di oltre 400 persone salvate), fra cui altri due preti genovesi.

Dopo le indagini svolte dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, la nipote di don Levrero ha inviato al municipio la lettera del museo di Gerusalemme: l'ex parroco di Carrosio è un "Giusto tra le nazioni", come meritava.

Riportiamo una testimonianza su Mons. Levrero che Aldo Spinelli , Ex-presidente del Genoa, ha reso a Mario Macciò per il libro "Genova e la Shoah, salvati dalla Chiesa":

"Una persona stupenda in grado e con la capacità di toccare tutte le corde dell'uomo per farlo diventare migliore, capace di regalarsi completamente a chi ne avesse bisogno. Sul numero degli Ebrei salvati si parla con insistenza di 400.
Una volta che, nel corso di un fraterno colloquio, mi sono permesso chiederglielo, mi ha risposto con un bel sorriso. Le peripezie da lui affrontate con grande coraggio per portare a buon fine la sua opera umanitaria, non è facile poterle illustrare né dimenticare, come non potrò mai dimenticare quanto ha fatto per la mia famiglia e per me. In epoche tragiche, quando ognuno pensava a sé, Don Levrero, il Pastore di una delle "Chiese più sicure" della Diocesi genovese, è stato negli anni '43 e '44 il faro della salvezza per oppressi e perseguitati razziali e politici".